Fantascienza e fanta-scemenze
Nel mondo degli scrittori di fantascienza c’è la legge di Sturgeon, quella che dice che il 90% della fantascienza è immondizia… ma anche che il 90% di tutto quello che si pubblica è immondizia letteraria
Un calembour evidente contro i paladini della letteratura alta, quelli che hanno sempre considerata la fantascienza un genere minore, popolare, letteratura per ragazzi brufolosi o per cinquantenni poco cresciuti che sbavano per l’ultimo DVD di Dune o i pupazzetti di Star Wars.
E poi c’è anche la critica più melliflua, quella dell’intellettuale che vuol fare vedere che qualcosa ne sa, e quindi criticherebbe a ragion veduta, e non perché è incazzato nero quando vede che il suo libro, palloso come una partita di tennis fra due bancari, non se lo fila nessuno, mentre Philip Dick vende sempre bene e magari qualche insegnante dà da leggere ai liceali Farenheit 451 o Arancia Meccanica invece di certi mattoni dell’800 buoni ormai per adornare le librerie delle neo ricche.
Sono quelli che dicono che la fantascienza non ha previsto il personal computer, internet o la diffusione pervasiva e invasiva dei telefoni cellulari. Critica cui si può facilmente obiettare con la constatazione che non è certo scopo di un letterato inventare le cose, anche perché farebbe soldi ben più sostanziosi con le sue invenzioni, come hanno fatto IBM e Microsoft, piuttosto che scrivere libri; e poi c’è l’altra constatazione che, anche senza descrivere l’oggetto tecnologico a tutto tondo, certe innovazioni sono state comunque descritte, come la internet e sue implicazioni, nel Sole Nudo di Isaac Asimov, o come l’idea di un sistema di comunicazioni universali mobile che in un libro viene attivato da alieni grazie ad un metallo fantastico, l’iridium, che permette questo tipo di connessione permanente di ognuno di noi con qualsiasi altro individuo del pianeta e oltre, e guarda caso, il sistema di comunicazioni satellitari creato da Motorola, si chiama proprio Iridium.
Ma che cos’è veramente la fantascienza? Come dice Robert J. Sawyer, vincitore di un premio Hugo, (il massimo premio per la fantascienza), “La buona letteratura fa luce sulla condizione umana; la buona fantascienza fa luce sulla condizione umana quando è posta in circostanze non usuali.” Circostanze che possono essere determinate dall’avvento di un tecnologia, di un evento catastrofico, di una malattia impossibile da curare, ma anche da macchine e robot che sostituiscono le persone o da cose estreme come l’immortalità o una estrema longevità magari solo per alcune persone. Cosa accade in un mondo dove alcune persone vivono centinaia di anni mentre tutti gli altri si spengono come i loro padri, nonni e trisavoli?
C’è un libro famoso, I figli di Matusalemmeche descrive la vita, (non tanto allegra e oltremodo pericolosa), di un gruppo di “fortunati” che possono superare i secoli. E cosa accade se si diffonde una malattia nuova, difficile se non impossibile da curare? Per quanto sembri strano, qualcuno aveva già descritto qualcosa che somiglia all’AIDS. Così come sono stati descritte società che sono in pratica governate dalla pubblicità (i Mercanti dello Spazio) e dove la gente affitta il suo corpo per mostrare la pubblicità di una marca su un dispositivo (che somiglia tanto ad un tablet). E questo è un libro edito nel 1951 che immagina il mondo del 2006. Se qualche intellettuale lo avesse letto non si sarebbe meravigliato che uomini che guadagnano tanto dal gestire la pubblicità possano anche avere un potere politico. E Gibson che immagina che ci possano essere delle case discografiche che hanno bisogno in termini di marketing di far sposare un cantante in carne ossa e chitarra con una del tutto virtuale? A Hong Kong, Taiwan e Singapore oggi uno dei cantanti più famosi è del tutto artificiale creato da programmatori in digitale.
C’è però un effetto della fantascienza che viene poco considerato, ed è l’effetto che hanno queste fantasie su alcune persone che, un bel giorno, decidono che quell’invenzione immaginata si può fare. E allora queste persone di mettono in moto e in parecchi casi riescono perfino a farsi finanziare dai Venture Capitalist o dalla DARPA, l’agenzia del Pentagono che si occupa di ricerche avanzate a scopi militari e che, tra l’altro è quella che ha stimolato la invenzione di internet.
Qual è dunque la morale della favola (e per non portarla per le lunghe)? È che nel mondo anglo-americano la pari dignità riconosciuta ad ogni persona di essere portatore d’idee, fa sì che qualcuno, leggendo un libro di fantascienza, non consideri l’argomento una fanta-scemenza ma quello che vuole essere: uno stimolo creativo che a sua volta stimola un’altra mente aperta a realizzare l’idea dello scrittore per farne qualcosa di utile per l’umanità, cioè per noi tutti.
Ma la cosa veramente notevole e che nella società anglo-americana c’è qualcuno che ha sempre orecchie tese e occhi ben aperti più del lupo di Cappuccetto Rosso, che apre il portafogli a mantice ed è pronto a INVESTIRE denaro “per puro rischio” in un progetto che magari alla base ha un’idea mutuata da un libro, un po’ di brevetti e soprattutto tanto coraggio di avventurarsi.
Forse sarà che la società americana è una società di pionieri “inside”, forse, come dicono certe ricerche, che l’emigrante e la sua discendenza sono persone affamate di dopamina e quindi desiderose di mettersi sempre in gioco per appagare la fame di questo neurotrasmettitore, sarà quel che sarà, la realtà e che ogni giorno vedo realizzare, in qualche forma, quello che la fantascienza aveva preconizzato.
Nessun commento:
Posta un commento